lunedì 15 aprile 2013

SHANGHAI DEVIL

SHANGHAI DEVIL
di Gianfranco Manfredi e disegnatori vari.
Sergio Bonelli Editore.
Mini serie di 18 numeri in uscita mensile da ottobre 2011 a marzo 2013.


Il mese scorso dopo 18 mesi di vita editoriale si è conclusa la miniserie SHANGHAI DEVIL.
Terza serie in assoluto di Gianfranco Manfredi per la Bonelli. Le altre due ovviamente sono  le bellissime Magico Vento e Volto Nascosto. Di quest’ultima, Shangai Devil è il proseguimento e testamento.
E io mi sono letto tutti i 18 numeri uno dietro l’altro negli ultimi 10 giorni. Si è così .. le serie, si tratti di fumetti o di telefilm non riesco proprio a seguirle una puntata per volta con la giusta attesa settimanale (nel caso dei fumetti Bonelli, addirittura mensile .. brrr ) tra una puntata e l’altra. Preferisco aspettare che termini, rischiando di comprare a scatola chiusa una ciofeca, per fruirmela tutta e tutta d’un fiato. Solo così riesco ad assorbirla ... sarà un mio limite.

In Shangai Devil ritroviamo Ugo Pastore, uno dei personaggi più profondi e complessi degli ultimi anni dopo le vicende che lo vedevano cooprotagonista della prima serie, Volto Nascosto.

Come in Volto Nascosto ritroviamo il lucido e per nulla lusinghiero, per le nazioni coinvolte, esame che Manfredi fa del colonialismo. In Volto Nascosto l’esame si concentrava principalmente sull’esperienza coloniale italiana del 19° secolo in Africa in tutto il suo carosello di politici e militari cialtroni e incompetenti che tempestavano i quadri italioti dell’epoca.


Nella nuova miniserie l’oggetto de l’esamina si estende al colonialismo tutto e in un contesto che è stato per la storia di questa “invenzione europea” una delle sue pagine più nere, la Cina imperiale della dinastia Quing a cavallo del 19° e 20° secolo. 
In questo contesto le nazioni europee (e gli americani) dovettero aver a che fare con un impero millenario, raffinato, evoluto ed estremamente complesso. La superficialità e l’avidità dei politici e dei militari rappresentanti le nazioni occidentali presenti in territorio cinese, Regno Unito, Germania, Italia, Austria-Ungheria, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Stati Uniti, Russia e Giappone (egregiamente caratterizzate una ad una da Manfredi), sfocerà in quella che storicamente è conosciuta come la rivolta dei Boxer, inizialmente a difesa dei contadini contro i soprusi imperiali ma anche contro lo sfruttamento delle risorse minerarie e agricole da parte delle potenze straniere e che culminerà nella battaglia di Pechino, ultimo grande massacro dopo i numerosi massacri che coinvolsero il popolo cinese e nell’assedio delle rispettive delegazioni. 

Alla dichiarazione di guerra fatta dall’imperatrice Cixi che riuscì abilmente a sfruttare i sentimenti nazionalisti dei Boxer deviandoli unicamente contro gli occidentali, si opposero gli eserciti alleati di Germania, Austria, Francia, Italia, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti e Giappone con quella che verrà chiamata appunto “L’Alleanza delle 8 Nazioni” che fino a quel momento si guardavano in cagnesco per la concorrenza commerciale. 

Il riferimento al film del 1963 “55 giorni a Pechino” con Charlton Heston e David Niven è immediato ma da esso Manfredi preferisce giustamente prendere le distanze, usando invece testi e film di riferimento ben meno eroici, non americanizzanti e soprattutto realizzati dal punto di vista del popolo cinese. Tutti onestamente citati da Manfredi nella rubrica interna di ogni albo per chi volesse approfondire ogni aspetto di questa importante ma raramente frequentata pagina della Storia.

Di fatto negli episodi della miniserie incentrati sulla battaglia per la presa di Tianjin e la successiva liberazione di Pechino da parte dei 20.000 uomini delle forze alleate , Manfredi preferisce concentrare l’attenzione su un episodio meno noto, quello dei soli 43 marinai italiani e francesi che difesero strenuamente la vita di alcune migliaia di persone (cinesi e occidentali) facenti parte della comunità cristiana asserragliati dentro la Cattedrale di Beitang situata dentro le mura della città. Queste poche decine di eroi riuscì a resistere nel cuore stesso del “nemico” fino all’entrata delle truppe alleate. Manfredi aggiunge solo la collaborazione di Ugo Pastore e dei suoi compagni alla riuscita della difesa delle vite di questi civili.

La avventure cinesi di Ugo Pastore sembrano aver avuto meno fortuna editoriale delle precedenti africane. Senza dubbio la serie parte con toni più leggeri e con taglio squisitamente avventuroso tipico dei pulp magazine (che proprio nel periodo storico in cui è ambientata la miniserie cominciavano a essere pubblicati in America). Il protagonista non è un super eroe, la cui esistenza e trattata sempre in modo ambiguo e più che altro simbolico. Lo stesso, Manfredi non rinuncia a qualche tocco di "fantastico" gestito in modo però da non stridere mai con il taglio estremamente realistico
della realtà storica in cui sono calate le vicende.
La rivolta dei Boxer vera e propria, se pur generata da fatti come la guerra dell’oppio di alcuni anni prima, si concentra tra il giugno e l’agosto del 1900.
La serie invece si prende molto tempo per entrare nel vivo dell’azione e degli eventi storici cominciando nel mese di marzo del 1897 con l’arrivo di Ugo Pastore a Shangai, invitato dal padre Enea rappresentante degli interessi commerciali italiani in Cina e presentando in modo graduale e funzionale tutti i numerosi personaggi che presto cominceremo a conoscere molto bene. Se pur il protagonista indiscusso resta il giovane romano dall’occhio semichiuso, le capacità di caratterizzazione di Manfredi sono tali che presto ci ritroveremo a seguire le gesta di molteplici comprimari assolutamente vivi e accattivanti come Evaristo Cazzaniga, avventuriero milanese, il soldato americano Tony Caputo, un napoletano di New York (e la sua gang di “buone canaglie”), Ha Ojie, un giovane e talentuoso attore acrobatico cinese, Chuang Lai capo dei Boxer e monaco shaolin , la spia britannica Lady Jane  e tanti e tanti altri. Ognuno di essi può essere costante, monouso, scomparire dalla serie per molte puntate e poi riapparire se gli eventi lo consentono in una girandola di situazioni e trame molto complesse e che tengono l’azione sempre viva nonostante la superficiale semplicità delle storie rispetto alla miniserie africana. Paradossalmente un difetto si può riscontrare qualche volta nei dialoghi non sempre all’altezza, come se Manfredi, concentrato a tirare tutti i complicati fili senza che si aggroviglino, non avesse avuto tempo per raffinarli. D’altronde, e a parziale smentita di quanto appena detto, per un lettore italiano è molto gustoso “sentire”, un romano, un napoletano e un milanese parlare fra di loro nei rispettivi dialetti e in italiano(cinese/inglese) con gli altri.

Prima si è detto del graduale e funzionale inserimento dei personaggi e questo vale anche per la trama principale incentrata sull’assedio di Pechino e delle numerose sotto trame ad essa collegate. Se le prime puntate della miniserie sembrano (e lo sono) avere una funzione preparativa per gli eventi di portata ben più generale e tragica che seguiranno dopo, la seconda metà della miniserie ci porta nel vivo di questi eventi Storici ma sempre dal punto di vista antropologico dei singoli e numerosi personaggi. Al termine della lettura del numero 18 avremo un quadro colossale e sfaccettatissimo della Cina, delle sue Genti, della sua geografia, della sua politica, delle sue tragedie, all’epoca dell’ultima dinastia imperiale e della sua dissoluzione avvenuta soprattutto per mano degli occidentali ma anche per motivi interni e che porterà alla Repubblica Popolare Cinese.


Come ottima introduzione programmatica della struttura della serie e sintesi del discorso storico e culturale appena fatto possiamo usare le stesse parole dette da Enea Pastore a suo figlio Ugo, appena arrivato in “questo mondo alieno”:


“La Cina è complicata. Non avere fretta, figliolo. 
Imparerai a conoscerla col tempo, un po' per volta...”


.... e i disegnatori ? 


Ramella, Barbati, Perovic, Biglia, Diso e Della Monica, fanno tutti un lavoro professionale e nell’insieme quasi sempre ottimale; d’altronde collaborano con Manfredi da anni e l’empatia si vede.
Massimo Rotundo che tra questi dovrebbe essere “quello d’autore”, toltosi di dosso gran parte della buon anima di Attilio Micheluzzi, anche se nell’insieme fa un buon lavoro, delude un poco  per sciatteria, specie nei volti.. Alessandro Nespolino For President! 

Manfredi ha annunciato la messa in cantiere presso gli stabilimenti Bonelli di una nuova serie (forse regolare) ambientata nell’Africa Nera dei grandi esploratori del 19° secolo.
L’aspettiamo ...

Donald McHeyre








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